Scrive Anna, 16 anni: “Vorrei chiedere un consiglio perché non so come gestire una situazione con i miei compagni di classe. La cosa strana è che a scuola sembra andare tutto bene. Il problema è nato da poco sul gruppo di whatsapp a cui siamo iscritti tutti. Un paio di mesi fa due mie compagne hanno iniziato a scrivere sul gruppo molte battute su un ragazzo, che è sempre stato simpatico a tutti per il suo modo autoironico di mettersi al centro dell’attenzione. Da allora tutta la mia classe ha iniziato a fare la stessa cosa, e tutte le battute, più e meno leggere, si scrivono solo sul gruppo, mentre in classe si fa finta di niente, si sorride e basta come se nulla fosse.
Sono preoccupata per questa situazione, e anche se il ragazzo in questione non si lamenta per questo atteggiamento a me sembra che si stia esagerando. Ho scritto io stessa alcune battute, ora però basta, al posto suo starei malissimo. Vorrei che tutto questo finisse, ma non so davvero cosa fare. Come devo comportarmi?”.
Forse molti lettori definirebbero questa situazione come un semplice scherzo tra ragazzi, un gioco in cui nessuno si fa male. Anzi, è stato lo stesso ragazzo a proporsi come bersaglio di battute e gli altri hanno assecondato il suo atteggiamento, quindi va bene così.
Dal mio punto di vista invece si tratta di un fenomeno di cyberbullismo, per ora limitato al gruppo classe e veicolato solo da whatsapp. Dunque attualmente la situazione potrebbe essere risolta con facilità, se solo qualcuno decidesse di affrontarla.
La realtà dei fatti è che la classe di Anna mostra sorrisi alle battute autoironiche del compagno, e al di fuori della scuola scrive messaggi offensivi a lui rivolti nella chat del gruppo, nella convinzione di scherzare in modo innocente. Il messaggio viene ricevuto da tutti senza essere accompagnato da un comportamento non verbale o un tono di voce che ne sottolinei l’ironia, e quando si incontrano di persona i ragazzi evitano qualsiasi riferimento a ciò che hanno scritto. La presunta ironia, la leggerezza e lo scherzo restano del tutto impliciti, non vengono comunicati. Ciò rende la situazione potenzialmente pericolosa, e per fortuna Anna lo percepisce. Per quanto possa avere un carattere forte il bersaflio è pur sempre un adolescente. Le continue offese potrebbero alimentare in modo rischioso le insicurezze tipiche di questa età.
Il cyberbullo non è sempre il ragazzo riconosciuto da tutti come cattivo e violento, con problemi comportamentali che vuole prevaricare sugli altri. Bensì può diventare un cyberbullo chiunque rivolga continuamente messaggi offensivi ai danni di un’altra persona. La differenza è semplice: lo scherzo dura poco, il cyberbullismo no, può solo peggiorare. Ciò che può contrastarlo è una risposta esplicita da parte del bersaglio e dei testimoni, per definire quanto sta accadendo e porre un limite.
Fortunatamente questa dinamica è circoscritta al gruppo classe, perciò è facile intervenire rapidamente, e tocca proprio ad Anna fare qualcosa.
Il primo passo è parlarne in classe, rompere questo tabù che si è creato ed esplicitare le intenzioni di chi ha scritto. Probabilmente Anna non è l’unica a pensare che la situazione sia fuori controllo, ma serve che qualcuno parli per primo, o tutti resteranno in silenzio. Sarebbe anche utile riflettere insieme sul perché nessuno fa battute nelle interazioni reali eppure tutti le scrivono nel gruppo whatsapp. Forse la classe non si mette in gioco nell’interazione reale perché teme di vedere una reazione di disagio e sofferenza del compagno. Invece via whatsapp si sente emotivamente distante da lui e dunque più libera di scherzare pesantemente.
Un’altra proposta, successiva ai chiarimenti, è quella di esplicitare le regole del gruppo su whatsapp. Ogni gruppo funziona secondo proprie regole implicite, ma quando si creano tensioni sarebbe bene stabilire in modo esplicito gli obiettivi del gruppo e le regole che garantiscono il benessere di tutti i suoi membri. In questo caso i ragazzi potrebbero riflettere tutti insieme sul perché è nato il gruppo di whatsapp, come può essere utilizzato e come non utilizzarlo nel rispetto delle volontà di tutti, contemplando la possibilità di escludere chi sceglie di agire contro l’interesse e il benessere del gruppo.
L’invito rivolto a tutti i ragazzi è quello di intervenire attivamente nel momento in cui si rendono conto che un compagno sta soffrendo per l’atteggiamento o per il comportamento di qualcun altro. Non è una scusa valida pensare che se non riguarda se stessi o un amico stretto, o se nessuno si lamenta, o ancora se si tratta solo di uno scherzo, allora si può rimanere in silenzio. Parlare e chiarire con i compagni le proprie esigenze e necessità è l’unico modo per stare bene nel gruppo e avere relazioni di amicizia profonda; scegliere di vedere e non dire niente significa vivere passivamente relazioni superficiali su cui non poter contare.
L’educazione all’utilizzo del web e dei social media è purtroppo molto carente: secondo i dati di una ricerca sui bambini e i nuovi media (ricerca di People per Terre des Hommes) solo il 18% dei genitori offre regole e spiegazioni per rendere i figli consapevoli dell’uso di internet. Inoltre, nel contesto scolastico gli interventi arrivano tardi, quando sono già avvenuti episodi gravissimi o tragedie drammatiche.
In attesa di una migliore organizzazione da parte degli adulti per gestire ma soprattutto per prevenire i problemi legati al mondo virtuale, i ragazzi possono dare il loro contributo decisivo spronandosi ad utilizzare internet come risorsa per rinforzare in modo positivo le relazioni della vita reale, e non per scrivere quello che non si riesce a dire di persona o per danneggiare volutamente qualcuno, perché probabilmente questo finirà per creare malintesi, sofferenza e rottura dei rapporti sociali.
Articolo pubblicato su AlessandriaNews.it in risposta a una domanda giunta in redazione per la rubrica “la psicologa risponde”