Scrive Giada (nome di fantasia), 33 anni: “Inizio a preoccuparmi seriamente per mio figlio Giacomo (nome di fantasia) di 6 anni, perché da quasi un anno ha un amico immaginario con cui interagisce quotidianamente. Mi è stato detto che è solo una fase passeggera e che non c’è da preoccuparsi visto che gioca anche con i compagni reali. Però sentirlo parlare da solo nella sua stanza la sera prima di addormentarsi mi inquieta parecchio. A volte mi sembra che si perda nel suo mondo anche quando siamo in macchina, e se gli chiedo a che cosa sta pensando risponde “a niente”, ma qualche minuto dopo ammette di aver parlato con il suo amico immaginario usando la forza del pensiero. Quando succede sono davvero in imbarazzo e non so come comportarmi. Da mamma che cosa posso fare? Dovrei portarlo da uno psicologo?“.
Giada sembra molto preoccupata per le interazioni del figlio Giacomo con un amico immaginario. Emerge chiaramente il suo disorientamento di fronte ad una relazione “invisibile”. Dal messaggio sembra che la madre indaghi con sospetto i pensieri del figlio nei momenti in cui sembra aver luogo questa interazione immaginaria. Probabilmente Giacomo avverte l’inquietudine della madre, e forse l’imbarazzo di risultare bizzarro o di essere contrariato lo porta a chiudersi e a mantenere segrete le sue fantasie.
Le ricerche su questo tema (Marjorie Taylor) rivelano che circa il 60% dei bambini tra i 3 e gli 8 anni ha un amico immaginario, e che ciò non comporta alcuna patologia. I bambini infatti sanno che si tratta di una creazione della loro fantasia. Solitamente ricorrono a queste immaginazioni nel momento in cui non hanno un compagno di giochi reale con cui interagire. Si tratta perciò di una soluzione creativa per rispondere al bisogno di giocare con qualcuno quando lo desiderano, e questo non è necessariamente legato a difficoltà nelle relazioni sociali.
In questo caso, Giacomo sembra ricorrere al suo amico immaginario prima di dormire, forse per superare la paura del buio o della solitudine. Lo fa anche in macchina, forse perché si tratta di momenti in cui la famiglia dialoga poco, o che comunque non lo fanno sentire coinvolto.
Di fronte ai giochi immaginari dei figli ciascun genitore reagisce in modo diverso in base al proprio carattere. Alcuni si comportano come se l’amico immaginario del figlio fosse reale e chiedono di descrivere questa figura, per giocare insieme e al contempo provare a cogliere i bisogni che il bambino esprime attraverso questo gioco. Altri preferiscono ignorare i riferimenti del figlio ad un amico immaginario. Questo è del tutto lecito se i genitori si sentono a disagio e non vogliono prendere parte a questo gioco. Il bambino sa perfettamente di aver creato un personaggio con la propria fantasia, e la scelta del genitore di restare fuori dal gioco non avrà effetti sulla sua relazione immaginaria.
L’importante è non prendere in giro il bambino e non cercare di convincerlo che il suo amico immaginario non esiste. E’ del tutto comprensibile che un genitore fatichi a capire queste esperienze del figlio. Ma si tratta di soluzioni difensive sane, innocue e creative, attraverso le quali il bambino si protegge dalle paure infantili. Per altri coetanei soluzioni meno creative originano veri e propri sintomi che esprimono disagio. Per il bambino non è importante che la mamma comprenda le sue fantasie. Ha però bisogno di sentirsi legittimato in questo gioco. Non accettare le sue interazioni immaginarie potrebbe minare le sue difese e dunque disarmarlo completamente di fronte alle paure che teme.
In questo caso, Giada dovrebbe trovare il modo di tranquillizzarsi e concedere a questo gioco di fantasia il giusto spazio, né inesistente né eccessivo, senza trasmettere al figlio preoccupazioni che in questo caso sembrano infondate. Giacomo continua a giocare con gli altri bambini, mostrando così di essere presente e in contatto con la realtà. Potrebbe essere invece indicato consultare uno psicologo quando un bambino riduce le relazioni sociali per isolarsi nei giochi di fantasia.
Il consiglio per Giada è quello di creare più occasioni di condivisione emotiva, cercando di trasmettere al figlio un senso di accoglienza e sicurezza. Da lì potrebbe chiedergli come si sente, se qualcosa lo preoccupa, se si sente solo:. Aiutarlo a verbalizzare le emozioni e i pensieri potrà permettere a Giacomo di sentirsi più visto e ascoltato, e alla mamma di sentirsi coinvolta nel mondo interiore del figlio che ora le sembra inaccessibile.
Articolo pubblicato su AlessandriaNews.it in risposta a una domanda giunta in redazione per la rubrica “la psicologa risponde”